Tempo e pandemia. Another end of the world is possible.

In quest’ultimo anno, dall’inizio del lockdown ho riflettuto molto sul concetto di tempo perché mi è sembrato variasse in maniera improvvisa ed evidente è stata la percezione del fatto. È variata la comprensione del ritmo delle giornate, come se si fosse introdotto uno strumento stonato all’interno della composizione musicale, un batterista fuori tempo, un riff fuori luogo, un ritornello monocorde.

Il tempo racchiuso in uno spazio più piccolo, quello al chiuso, è stato percepito diversamente rispetto a come lo percepiamo quando è relazionato ad uno spazio aperto, più ampio.

Secondo Aristotele il tempo è determinato dal numero (cioè la misura) del movimento dal prima al poi. È quello spazio che intercorre tra A e B e ha per noi umani un andamento lineare, è direzionale tra due punti: l’inizio e la fine di un avvenimento, il collegamento tra due età, ecc. La percezione di esso può cambiare in base a diversi fattori e durante il corso di questi ultimi mesi la variazione improvvisa e costretta della nostra questione lavorativa, organizzativa e di svago hanno contribuito a modificarne la forma.

In fisica, la così detta quarta dimensione, è la zona in cui scorrono ed esistono tutti gli eventi dell’universo. La connessione spazio-tempo è propriamente relativa e, se la analizziamo dal punto di vista storico, cioè come zona dove avvengono simultaneamente eventi sociali, potremmo prendere spunto da questa relatività per iniziare un esercizio di cambio di posizioni e prospettive che potrebbe darci un’ impronta culturale per il rispetto di ogni diversità.

Potremmo cominciare proprio dallo studio del tempo. L’importanza della gestione del tempo personale dovrebbe essere approfondita a scuola e ovunque, quanto deve restare unicamente personale il suo utilizzo a discapito di un sistema che non ne tiene conto. Confondiamo lo sfruttamento con la realizzazione; la sorveglianza con la sicurezza; la condivisione totale e assoluta con la libertà; la farmacologizzazione e soppressione del sintomo (che ha invece una valenza simbolica ed emancipatoria) con il progresso; l’automazione con il comfort.

Una società confusa e anestetizzata perde la cognizione di se e della storia e quindi non può darsi alcuna narrazione se non quella sensazionalistica che si arresta sull’istante di un titolo e sparisce nel tempo di un racconto. La narrazione del sintomo, la malattia, ha una rilevanza di critica sociale perché non esiste sintomo che possa sparire, neanche con tutta la farmacopea del mondo, senza che si affronti la causa, senza correggerla. Se non avviene un cambio di rotta il sintomo, furbo e inesorabile, troverà in ogni caso, il modo per manifestarsi sotto altre forme.

La riduzione dello spazio e del movimento del corpo, strumento con il quale entriamo in contatto con le emozioni, con il quale entriamo in relazione con l’ambiente esterno, riducono l’ampiezza visiva, l’impulso visivo, quello dei nostri pensieri e il sistema cognitivo. Loop di immagini senza narrazione che assorbiamo dagli occhi, suoni meccanici e ripetitivi della produzione che trasmettiamo all’udito. Il cervello riduce il suo spazio e di conseguenza il suo tempo di vita.

Nella società del capitale ogni elemento è oggetto di consumo. Senza movimento l’evoluzione in avanti, personale e collettiva si arresta, il nostro sistema emozionale è fermo, l’uomo è incosciente, il tempo è “perduto”. Finché la qualità del tempo sarà un elemento trascurabile e non gestibile autonomamente lo sarà anche quella della vita considerata uno spazio di tempo destinato alla produzione di merce, dalla quale non si ricava nessuna libertà poiché ridotta anch’essa a merce. La produzione di merce riceve in cambio altra merce, il salario, il garante della nostra esistenza, oggetto che stabilisce il cibo necessario al sostentamento del corpo concepito e sfruttato come qualsiasi altro mezzo di produzione.

Marx ha detto nel 1856 “Tutte le nostre scoperte e i nostri progressi sembrano infondere una vita spirituale alle forze materiali e al tempo stesso istupidire la vita umana, riducendola ad una forza materiale”. Un sistema fallimentare basato sul profitto, su un saldo equilibrio, direi quasi accordo, di sfruttati e sfruttatori che, per la sua natura predatoria è destinato a comprimere lo stato vitale e quindi non può garantire la conservazione della società bensì la consuma e determina la sua distruzione. Una costruzione del mondo che definiamo normalità che ha la forma di un macigno destinato ad inglobare ogni variazione. È una prospettiva culturale che schiaccia la maturazione di qualsiasi vera e concreta prospettiva di cambiamento.

Tornando alla percezione del tempo, ciò che in quei mesi ha modificato la materia gommosa che disegna la quarta dimensione, è stata anche la difficoltà a mantenere un contatto con la nostra personale forma di “libertà” tradotta in piacere, effimera ma comunque rilevante, alla quale ci aggrappiamo nella composizione e gestione delle nostre giornate, che le allunga, le dilata insieme allo spazio che occupa, una variazione del ritmo musicale dell’esistenza.

La musica per esempio, il miglior prodotto della creatività umana, è un ottimo modo per ridisegnare uno spazio nel quale sei tu a comporre il tempo, a mettere gli accenti, a decidere lo sviluppo e il tono in mezzo ad una illimitata possibilità di scelte. Nella creazione dell’equilibrio musicale la variazione crea l’alternanza alla ripetizione continua, senza disperdersi. La musica ha la capacità di cambiare la nostra relazione con il tempo perché è una esperienza che richiede concentrazione. Se si vuole ricevere materiale musicale si deve essere più in relazione con la propria coscienza. Dialogando tra la coscienza il tempo e il ritmo si riesce ad ascoltare il presente, il prima e il dopo.

Si chiamano esperienze ottimali, in inglese flow, cioè alterazioni della percezione del tempo, quando il piacere dell’esperienza che stiamo vivendo è tale che il tempo sembra passare più lentamente o velocemente. Succede anche ascoltando a distanza di anni una musica che ha caratterizzato una parte della nostra vita. Riascoltandola anni dopo riusciamo in un attimo a fare un viaggio nel passato ricordando emozioni, sensazioni e particolari che caratterizzavano quei momenti e che pensavamo di non ricordare. Il tempo musicale riesce a manomettere il tempo assoluto e quindi a creare un altro spazio, la zona atemporale dove non c’è più un’unica direzione da A verso B ma si può tornare indietro. Il batterista, come ogni altro musicista, può trovare il suo stato di atemporalità suonando, insieme al suo strumento vive la sua esperienza ottimale, egli non è più dentro il tempo assoluto ma ne crea un altro, diventa il flow tra il ritmo e il tempo.

Nel film di fantascienza di Denis Villeneuve (2016) Arrival, la protagonista riesce a fare un viaggio nel tempo tramite lo studio di una lingua aliena. Secondo l’ipotesi di Sapir Worfh infatti, la lingua che parliamo influenza il nostro sistema cognitivo e la nostra percezione della realtà, per cui imparare una nuova lingua consente di esplorare altre zone della nostra mente e della nostra coscienza. Lo studio di una lingua aliena permette alla protagonista di attraversare lo spazio cognitivo ed esplorare “ricordi” dal futuro. Gli alieni tentano un gioco non a somma zero affinché le nazioni coinvolte condividano le diverse conoscenze linguistiche per risolvere la traduzione del loro messaggio facendo in modo che tutti i partecipanti riescano a guadagnare restando nelle loro posizioni. Vuol dire che unire le conoscenze utilizzando ognuno le proprie abilità cognitive per decodificare e conoscere quanti più messaggi possibili, comprendere quanti più linguaggi, più luoghi, più parti della nostra mente, è la chiave per avere una percezione più vasta del tempo, dello spazio e del movimento e trovarsi in zone atemporali dove una tale crescita dello stato di coscienza porta al raggiungimento della verità “assoluta”.

Ripetizione, variazione e forma armonica per suonare il tempo (primo elemento) e ridisegnare lo spazio (secondo elemento) potenziamento delle capacità cognitive per azionare il movimento (terzo elemento). La relazione spazio-tempo è descritta come una materia gommosa che cambia forma in base ai corpi e ai movimenti e, come dicevo, è relativa in quanto cambia rispetto ad illimitati punti di vista. Il terzo elemento, il movimento, è la variazione di posizione che avviene all’interno dello spazio ed è il cambiamento dei punti di riferimento. Dei pensieri è dell’azione. È da questo stato di moto che prendono nome i movimenti culturali, artistici e politici, dall’idea di mobilitazione dei corpi, la parte viva, che si riappropriano dell’ambiente (lo spazio) e da un punto A vanno nella direzione di un obiettivo comune il punto B. I movimenti culturali si contrappongono al concetto di Stato il quale rimanda invece ad una condizione di staticità, di mantenimento della posizione, di permanenza.

La percezione del tempo, la quarta dimensione, che non è una cosa tangibile ma comunque percepibile dalla nostra terza dimensione, è una sorta di orientamento e quindi avviene anche in base alle attività e alle esperienze che abbiamo nel quotidiano. Il monopolio dello spazio da parte dei governi, del tempo gestito dal lavoro, del movimento dal sistema culturale, la mancanza di scelte, di gestione, comportano un processo di disorientamento, uno stato di incoscienza, una immobilità, una interruzione dello sviluppo dell’intelletto che è facoltà di leggere-tra, il che significa appunto facoltà di scelta.

Il sistema politico degli stati, ormai mero strumento del capitale, si potrebbe definire come una dimensione unidimensionale visto che al punto B (l’obiettivo) c’è solo ed esclusivamente il capitale. Il sistema capitalistico si espande per mezzo della compressione di tutti gli altri elementi (tempo-spazio, movimento) e dello sfruttamento dello stato vitale dell’intera società di cui fa parte per cui, non avendo come fine la conservazione della società, è destinato a distruggere se stesso alla maniera in cui agiscono tutte le altre religioni, per loro natura alienanti e distruttive che rimandano una condizione di pace ad un aldilà che non esiste (fino a prova contraria).

È la creazione dell’uomo come lo è stato Dio e, come Dio, prima creato e poi ucciso, finirà anche il capitalismo autodistruggendosi, il momento della “fine di tutte le illusioni”. Nella società del capitale, l’uomo crea un potere che si nutre di se, dei suoi elementi vitali, si ingrassa e gonfia tanto da salire al di sopra dell’uomo, lo strumento, schiavo della sua stessa creazione. In questa nuova forma di schiavitù il bersaglio non è più l’altro bensì egli stesso e quindi la società intera. Il potere del capitale, mosso dal solo moto inerziale, perpetuo, resistente a qualsiasi altra variazione di movimento, gioca attraverso l’individuo senza consentirgli di giocare. L’unica forza che può arrestare un sistema così distruttivo potrebbe essere solo un’energia altrettanto dirompente come uno shock improvviso. Another end of the world is possible?

Laura

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